Gachiakuta: un manga intenso che vale la pena leggere

Leggere il volume 1 di Gachiakuta è stata un’esperienza che mi ha travolto sin dalle prime pagine. L’opera di Kei Urana, con i disegni di Hideyoshi Andou, non si limita a presentare un nuovo protagonista, ma costruisce da subito un universo cupo e soffocante, fatto di ingiustizie sociali e di rabbia repressa. Fin dal prologo, ciò che mi ha colpito non è stata solo l’ambientazione sporca e decadente, ma il modo in cui questa diventa specchio dei personaggi che la abitano. Tutto sembra gridare che questo mondo è diviso tra chi governa e chi viene scartato, esattamente come la spazzatura che dà il titolo all’opera.
Il vero cuore del volume è Rudo, un ragazzo cresciuto in basso, tra il rifiuto e l’emarginazione, e perseguitato soltanto per il sangue che porta dentro di sé. Il legame fortissimo con il padre adottivo è uno dei momenti emotivi che, personalmente, mi ha fatto entrare davvero in contatto con lui. Proprio questa relazione segna l’inizio del suo viaggio, perché quando Rudo viene accusato ingiustamente di un crimine efferato, tutta la sua vita si spezza di colpo. Da lettore, ho sentito l’ingiustizia bruciare insieme a lui: la frustrazione di un mondo che non aspetta altro che condannare chi è già marchiato come diverso.

La condanna porta Rudo a cadere nell’Abisso, un luogo spaventoso, popolato da rifiuti e mostri nati dall’accumulo di oggetti abbandonati impregnati d’odio. Questa parte del manga mi ha fatto respirare un’atmosfera unica, che oscilla tra lo schifo e la meraviglia: i rifiuti non sono solo sfondo, ma si trasformano in materia viva, deformata e minacciosa. È qui che il concetto dei Jinki – armi costruite proprio a partire dagli oggetti scartati, ma carichi di memoria ed emozioni – viene introdotto con prepotenza, ponendo le basi sia per l’azione che per la riflessione più profonda.
Quello che resta impresso, chiudendo il primo volume, non è solo la promessa di tanti combattimenti mozzafiato o la forza esplosiva dei disegni pieni di linee spezzate e dinamiche. È soprattutto la dimensione sociale e umana della storia. Ho sentito dietro ogni tavola un urlo di denuncia: chi viene trattato come spazzatura, prima o poi, si ribella, e trova persino nel fango e nei resti un modo di reinventarsi.
Il primo volume di Gachiakuta non è una semplice introduzione: è un tuffo diretto in un mondo scomodo, violento e disturbante. Ma è proprio questa sua crudezza a renderlo così potente. Per me, è stato come osservare la nascita di un antieroe che non ha nulla di patinato, e che proprio per questo riesce già, da subito, a conquistarmi.
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